Da quando, molti anni fa, ho scelto di
fare a meno dei prodotti animali mi sono spesso sentito dire da parte
di amici vegetariani, vegani e onnivori di quanto si sentisse la mancanza sulla mia tavola di un piatto fondamentale: la Jota.
Anzitutto perchè è una delle cose più
buone al mondo; in seconda battuta perchè in quanto triestino mi
risulta quasi impossibile rinunciare a questa tradizione.
La Jota, la cui pronuncia corretta si
avvicina molto ad un doppia “T”, vogliamo ricordarlo è forse il
piatto più rappresentativo della cucina giuliana. Consiste, in linea
di principio, in una zuppa abbastanza densa costituita da crauti,
fagioli e patate.
Avete capito bene: LA JOTA E' VEG.
In uno dei testi fondamentali della cucina triestina la
ricetta originale prevede i seguenti ingredienti:
Fagioli
Patate
Cappucci garbi
Alloro
Olio
Farina
Aglio
E naturalmente acqua.
E' interessante notare come la presenza di componenti animali è a tal punto radicata
che la maggior parte delle persone (triestini e non) è convinta che
la presenza di strutto e pezzi di prosciutto o carne in genere faccia
parte della tradizione, ma non è così. Tendo in ogni caso, e lo
dico per correttezza intellettuale, ad escludere ogni qualsivoglia
intento etico nell'esclusione delle componenti animali dalla ricetta
originale. Sarebbe interessante riflettere, piuttosto, sulle
motivazioni economiche, dal momento che è ormai riconosciuto che
un'alimentazione priva di componenti animali, oltre ad essere più
sana ed ecologica, è anche notevolmente più economica. In passato
probabilmente questo aspetto acquistava ancor maggiore importanza in
quanto piatto popolare.
Ma bando alle ciance. E' fondamentale
procurarsi dei crauti di buona qualità. Inoltre può essere
interessante sperimentare l'acquisto di fagioli freschi con tanto di
baccello. Se la scelta e la preparazione di queste due componenti
ha ricevuto la giusta cura il risultato si sentirà sicuramente.
Personalmente apprezzo l'uso della
pentola a pressione, infatti con molta meno energia si riesce a
cuocere, anche ad alte temperature, in un tempo decisamente minore.
La cosa migliore è soffriggere passo dopo passo
direttamente nella pentola senza, ancora, coprirla. Si parte dalla
farina e dall'olio extra vergine di oliva (quanto basta), poi
aggiungiamo l'aglio, i fagioli ed infine i crauti con un
po' di cumino. Si procede con le patate tagliate a pezzi abbastanza
piccoli, avendo cura in ogni passaggio di aggiungere qualche
cucchiaio d'acqua. Mi piace talvolta aggiungere mezza cipolla ancora in fase di soffrittura.
Dopo aver scottato qualche minuto
aggiungiamo l'acqua, quanto basta, chiudiamo ed aspettiamo che la
pentola fischi. Questo avviene di solito dopo pochi minuti; a questo
punto possiamo abbassare drasticamente la fiamma, se non addirittura
spegnerla finchè la pentola mantiene la pressione (è quest'ultima
infatti l'elemento che permette di massimizzare l'apporto energetico
creando calore dalla compressione). E' facile verificarlo sfiorando
la valvola per vedere se sfiata ancora.
La chiave per la riuscita della Jota è
il raggiungimento di un attimo in cui ineluttabilmente
crauti, patate e fagioli si amalgamano fra loro creando l'alchimia
unica che contraddistingue questa ricetta, sempre più
apprezzata anche al di fuori della città di Trieste. La cottura
secondo la mia personale opinione non dovrebbe durare meno di 25
minuti, ma più va, secondo me, meglio è.
Può essere interessante ultimare la
preparazione con una goccia di olio extra vergine di oliva a crudo.
Il segreto che ogni triestino
custodisce gelosamente è che la Jota il giorno dopo la cottura ha
una marcia in più. Provare per credere.